LE PIETRE E L’AMORE

Donatella Massara sul film:

Suggerisco a chi vedrà o rivedrà il film “Le pietre e l’amore” di farsi attraversare dalle figure delle donne della comunità. In un angolo riposto del nostro immaginario loro hanno vita e ci fanno intenerire perchè sono delle ombre ma vivaci, quando eravamo bambine esistevano, erano delle fate. Lasciatevi avvolgere dalla fantasia di un mondo che esiste in mezzo ai boschi dove le donne sono valorose tiratrici con l’arco che sanno difendere se stesse e i valori, ma senza essere cruente. Sono laboriose e umili, bene inquadrate in una esistenza dove i ruoli sono rispettati perchè utili a tutte. La musica di Paola Molgora riesce a dare la temperatura giusta alle emozioni che questa fantasia suscita. Contemporaneamente prestate attenzione ai temi che contiene il film perchè nella sua leggerezza va a guardare dritto in fondo alle grandi questioni che troviamo nelle relazioni fra donne. Il gioco che coinvolge tutte sta nel trovare le parole per nominarle. Seguite le ospiti della comunità che vi sapranno portare, invece, là dove c’è il teatro dei sentimenti più contrastanti, facendovi soprattutto sbellicare dalle risate. Gli uomini della montagna fanno come al solito il proprio gioco, cercano di sottrarre alle donne della comunità le pietre e sperano in colei che ambisce al potere. L’illusione è che, scompaginando i ruoli, ignorando l’autorità serena che le donne si conferiscono e esercitando l’astuzia della sottrazione, sia possibile fare brillare le pietre. L’amore però è anche una variabile inconscia, alla quale è difficile dare ordini, e lasciando fare a lei, l’avventura ha una finalità ma mai una fine.

I film di Milli Toja a cui partecipa con passione un’ampia comunità femminile, con alcuni uomini che a essa si affidano, sono un momento di godimento per la più vasta comunità del nostro pubblico. Le donne ritrovano se stesse in una narrazione di due ore che nasce da due anni di lavoro e dalla elaborazione di idee, di pratica politica e di esperienza. Avviene in sala una magia di incontri fra una comunità femminile con la sua forza e anche la sua fatica di vivere, la sua felicità e i suoi dolori e una narrazione che tenta di donarle una interpretazione forse una consolazione ma soprattutto un rispecchiamento raffinato, colto e affatto spontaneista. Il film costruisce interpretazioni simboliche che si rigenerano in noi andando a riprendere quella memoria antica del corpo, dell’immaginazione, della storia femminile che ogni donna ritrova dentro di sé. Non c’è un dialogo come di solito avviene con la cultura del nostro tempo, non c’è adeguamento ai prodotti che di solito consumiamo e che hanno maggiore successo, come i telefilm televisivi. L’originalità è generata anzitutto dalla fantasia dell’autrice che però raccoglie intorno a sé la partecipazione di decine di donne che intuiscono la portata del progetto. E’ anche questa consensualità affermativa che ci fa dire che il lavoro è importante e trasmette riconoscimento e godimento per tutte. Poi ognuna porta quello che vuole nello scambio libero fra la competenza, l’abilità, la presenza che sente di potere dare e la costruzione del film. E’ ciò che da al pubblico la misura di quello che siamo e che offre a noi una spinta notevole a fare meglio.

Fiorella Cagnoni sul film:

Alice’s Journal – 26 marzo 2014

COME UNA RECENSIONE

Guai a predisporsi alla visione delle Pietre di Milli Toja pensando di aver a che fare con un genere.

Anche questo ultimo Le Pietre e l’Amore, – somiglia a un fantascienza-fantasy ma non lo è, può prendere ritmo da musical ma non è un musical e non è nemmeno una commedia checché a tratti la paia, ha momenti da giallo, sprazzi da epico-storico ma non è ascrivibile a nessuno di questi “generi”. Non è rinchiudibile in un genere. Domanda al contrario d’esser visto uscendo dalle nostre gabbie mentali.

Per usare la geniale catalogazione di Mariuccia Ciotta, Toja fa film de-generati.

I suoi sono film sessuati, piuttosto: che uomini e donne siano differenti è uno dei punti limpidi da subito. Ma non che tutto il bene del mondo stia da una parte e tutto il male dall’altra. Ci mancherebbe.

Il secondo punto limpido è che del desiderio d’un mondo migliore, si tratta. Dell’idea, d’un mondo migliore. In cui certo, per il momento, non sono tanto migliorati, – gli amici/nemici di Milli Toja.

E le donne? Intanto che arrivano i miglioramenti, le donne stringono le insegne del proprio irrinunciabile, si regolano con criteri, rapporti, ritmi e parole incatenate (e incatenati) all’aver cittadinanza interiore, prima di tutto. Cercano di vivere la propria libertà. Come facciamo noi.

Le donne di Toja siamo noi, siamo le femministe antiquate antiche radicali lesbiennes come genialmente diceva e dice Anna Candiani, fiduciose ma capaci di sanzionare chi tradisce ripetutamente, solidali ma transfughe d’amore, en passant persino autocaustiche ma stregate dalla seduzione. Amazzoni invincibili ma capaci come fossero streghe di trasformarsi in femmes fatales. Lesbiche simbolicamente, sempre. Alcune anche materialmente altre no ma quello che conta è che il segreto del potere delle pietre resti fra noi, ché i maschi non son capaci di custodirlo. Anzi lo usano per rompere l’equilibrio, si è già capito che è così.

Come qualche millennio fa, le donne della Comunità proteggono il divino femminile dalla smania di potere degli uomini. Vedremo come andrà a finire questa volta.

Mi pare il film di Milli Toja più bello in assoluto, il più bello il più pieno di riflessioni e di domande e anche di speranze. Mi ha fatta ridere a voce alta due o tre volte, spesso sorridere: di noi, dei rapporti tra donne, dell’amore tra donne. M’ha fatta ascoltare e ragionare, – sia sul perché Aurora sia così crudele e dolorante, sia sull’esito della trama.

Per di più l’allargamento dello spazio delle ospiti – mentre mette la Comunità in una appropriata aurea più sacrale, più iniziata – rilancia al meglio lo sguardo della regia sui rapporti tra donne; la stragrande maggioranza dei dialoghi sono leggeri e profondi, come nella realtà.

Per di più non soltanto le attore sono ben di più che nei precedenti il che gli dà un ritmo molto più deciso, ma sono bravissime quasi tutte. Ognuna una personaggia ben delineata, le guerriere ormai amazzoni financo fondamentaliste, Lia la perfetta rappresentazione dell’amabile fragilità spaurita dalla propria stessa forza (autorità, dico io), e quindi dal proprio stesso ruolo, Donatella/Giada convincente nell’asceta però appassionata e pilastro della comunità, e le innamorate, le seduttore respinte, le seduttore vincenti, il trio, le amiche, i legami, le fantasie, tutto convincente. (A parte che Rossella cede… dopo Le Pietre del Sapere, dopo L’Alito del Drago, infine Rossella cede. E pareva una Turris Eburnea… Meno male che sa che Sara la tradirà a breve).

M’ha fatto baluginare evocazioni di me e di personagge della mia vita reale. E come a me, farà a molte questo effetto benefico, di veder rappresentati pregi e difetti delle vite proprie e di altre donne pensanti, riconoscibili, vicine.

Milli Toja è stata mille volte brava, distaccata, attenta, leggera, sincera. E ironica, e autoironica.

Note.

Per i generi si veda il Ciotta Silvestri – “un’antologia di titoli che pretendono di sollecitare nuovi, indomabili desideri”.

Lesbienne – che assai semplicemente è la forma francese di lesbica, un aggettivo – ha sempre avuto per me un significato ampio che lesbica non ha: come di orizzonte aperto non di conventicola. Non necessariamente basta che sia donna, necessariamente basta che sappia di esserlo. E non so se questa fosse l’intenzione dell’amica Anna, glielo chiederò, – ma così è per me.

La cittadinanza interiore è il titolo di un libro di Bruna Peyrot (Città Aperta Edizioni, 2006) e mi pare un’espressione geniale anche questa.

Materialmente come contrario di simbolicamente è pessimo, lo so.

Donatella Franchi sul film:

Le pietre e l’amore

L’ultimo film di Milli Toja, 2013

Il film è una riflessione sulla libertà delle donne e sul potere, che viene  modulata dalla regista in chiave ironica –  con la saggezza dell’autoironia – a volte comica e giocosa.

Riprendendo il filo conduttore dei tre film della saga “Le pietre del sapere” che lo precedono , narra di un gruppo di donne che vivono in una comunità tra i boschi. Questa comunità custodisce  il potere sapienziale che delle pietre magiche trasmettono a chi le sa far risplendere di luce propria, e che per questa capacità viene eletta madre della comunità. Il sapere simboleggiato dalle pietre, di cui le donne sono depositarie, viene trasmesso da una madre all’altra e custodito da tutte.

E’ un film che intreccia dei temi molto complessi, come quello della libertà e del sapere femminile e le responsabilità che comportano nel dar loro valore, nel custodirli e difenderli dal potere maschile, a volte anche da se stesse, e del rapporto con la sessualità e il proprio corpo.

Quello delle donne è un potere che ha origine da un sapere e da una saggezza legati all’esperienza relazionale e al rapporto con la natura, qui rappresentato dalle pietre, molto diverso da quello maschile intriso di prevaricazione e di menzogna.

Nell’intreccio del film le pietre sono oggetto di invidia e di desiderio da parte della comunità maschile che tenta di impossessarsene, facendo leva sulla passione amorosa di uno di loro, il giovane, e sull’ambiguità di una donna che vuole condividere con gli uomini il potere delle pietre, tradendo la fiducia delle altre.

Aurora, la traditrice, è un personaggio ambiguo e nello stesso tempo affascinante, con una sua dolente bellezza, dalla scena finale del film, si capisce che soffre per essersi tagliata fuori dalla comunità delle amiche, che l’avevano accolta e amata.

E’ come sospesa e incerta tra due mondi. Non sembra che Aurora tradisca per amore del giovane, o almeno non solo per questo, ma forse perché convinta che la condivisione del potere delle pietre avrebbe aiutato tutti, donne e uomini a vivere meglio insieme?  che gli uomini sarebbero stati contaminati dalla saggezza femminile, e non avrebbero più tentato di prevaricare e usare la violenza? Altrimenti perché  rischierebbe in questo modo?

Convince se stessa a utilizzare strategie maschili, inganna le amiche, non tiene conto degli affetti, pur di raggiungere il suo scopo. È una donna che fa politica nella peggiore tradizione degli uomini.

Lei non  tradisce per amore, è il giovane uomo innamorato a farlo, e che tradendo se stesso per amore gioca a favore della comunità femminile.

Il tema dell’amore è onnipresente nella comunità delle donne: come un infinito innamorarsi dell’una e dell’altra, come affetto profondo e forte dipendenza dall’altra ( vedi il personaggio di Lia, fragile e forte nello stesso tempo), come desiderio mai appagato. C’è un continuo conversare e confliggere su questo tema. Mi vengono in mente le Preziose di cui parla Carla Lonzi in Armande sono io ! E non è un caso che Madéleine de Scudery avesse disegnato una mappa per orizzontarsi nell’intrico dei sentimenti e delle passioni.

Sono molto suggestive le scene girate nel bosco. Nel bosco ci si nasconde e si trama, è luogo di forze oscure, dai suoi anfratti e profondità  personaggi inquietanti, che insidiano la comunità delle donne appaiono e si disperdono.

Il mondo protetto della comunità, quello della realtà quotidiana costruito dalle donne, è invece luminoso, ordinato e accogliente.

Le relazioni tra donne è il tema costante di tutta la produzione artistica di Milli.

Le attrici dei suoi film sono quasi sempre le frequentatrici della Galleria delle donne di Torino,

che lei aveva inaugurato, insieme ad alcune altre, nella seconda metà degli anni Ottanta per farne un luogo di sperimentazione delle arti visive, di performance e di incontri.

La Galleria delle donne era inizialmente  lo studio d’artista di Milli, un luogo privato che lei aveva aperto alle altre con un gesto politico che conserva l’impronta del femminismo sorgivo, dove arte e politica, come pratica di trasformazione di sé in relazione con le altre, erano indispensabilmente connesse.

La pratica artistica di Milli è intessuta della sua vita quotidiana, che lei trasforma in un racconto fantastico, (ricordo di averla sentita dire che la notte dormiva e di giorno sognava), dove proietta e mette in scena la sua esperienza di vita, fatta di incontri, di relazioni d’amore e di amicizia, di affetti, di spazi che recano la sua impronta di artista e di artigiana fantasiosa: la Galleria, la casa di Torino, la sua casa di montagna, che lei ha in gran parte restaurato con le proprie mani, che sono lo scenario di questo ultimo film, oltre ai boschi che la circondano, umidi e verdissimi, dove va a passeggiare con le amiche e con la sua cagnona.

Milli è un’artista multimediale, che ha sempre sperimentato con vari tipi di linguaggio, vedo i suoi film come una parte della sua sperimentazione. Quando l’ho conosciuta si misurava con la scultura. Sagomava il legno e lavorava dei grandi  fogli di rame per creare città fantastiche dalle tinte accese e personaggi che ritraevano delle persone amate. Spazi e figure sospesi tra realtà e invenzione fantastica, come nei suoi film.

La sua pratica artistica rimanda  alla sperimentazione delle avanguardie femministe degli anni Settanta e ne conserva la spregiudicatezza e la libertà, l’irriverenza rispetto a ciò che avviene nella ricerca artistica contemporanea.

Milli è attratta dalla tecnologia e non se ne lascia intimorire, la utilizza per raccontare se stessa e le altre, quello che le piace e le sta a cuore.

I suoi film sono totalmente autoprodotti. Si diverte moltissimo a scrivere la sceneggiatura, attingendo a piene mani dalle conversazioni delle donne che frequenta. Gira con camera digitale, fa il montaggio, chiede la collaborazione di musiciste per la colonna sonora, crea le scenografie, e coinvolge amiche e conoscenti come attrici e aiutanti. Non potendo costruire dei set particolari utilizza gli spazi dove si svolge la sua esistenza.

I mezzi limitati, specialmente se paragonati al dispiego tecnologico di molti film contemporanei, con cui lavora vengono trasformati in una originale modalità di racconto, in una narrazione affettuosa e piena di ironia e di umorismo, dove realtà e desiderio finalmente coincidono.

Le pietre e l\’amore

Ass. Sofonisba Anguissola

L’Associazione “Sofonisba Anguissola” che ha preso il nome di una pittrice cremonese del ’500, è stata fondata nel 1987 da un gruppo di donne di Torino impegnate sul terreno della pratica politica femminile e accomunate dalla passione per l’arte e dall’esercizio individuale di pratiche espressive. continua